La nota espressione “soffitto di cristallo”, “tetto di vetro”, “glass ceiling” viene utilizzata per indicare la segregazione verticale che impedisce alle donne di raggiungere posizioni di vertice e responsabilità in ambito professionale, si riferisce dunque a tutte quelle barriere invisibili che impediscono o complicano la crescita in ambito professionale delle lavoratrici.
«Le donne hanno raggiunto un certo punto – io lo chiamo il soffitto di cristallo. Sono nella parte superiore del management intermedio, si sono fermate e rimangono bloccate. Non c’è abbastanza spazio per tutte quelle donne ai vertici. Alcune si stanno orientando verso il lavoro autonomo. Altre stanno uscendo e mettono su famiglia» (Gay Bryant in un’intervista del 1984)
Secondo la metafora del glass ceiling, nei loro percorsi di carriera le donne sono ostacolate da pregiudizi attitudinali e organizzativi che si trasformano in barriere trasparenti, praticamente invisibili, ‘di cristallo’. Il soffitto di vetro, là dove esiste, non ostacola soltanto i singoli individui, ma l’intera società perché ci priva di potenziali buoni manager.
Soffitto di cristallo, una metafora del femminismo di classe?
Scrive Giulia Blasi che “il femminismo non si siede al tavolo con il patriarcato: il femminismo lo rovescia, il tavolo“. Allo stesso modo il soffitto di cristallo non può essere superato da poche fortunate e privilegiate, perché questo non può essere infranto senza considerare chi rimane a terra a raccogliere i pezzi.
Non si tratta di sostituire i ruoli, i generi al potere, si tratta di cambiare la definizione stessa di potere, si tratta di cambiare il sistema di potere. Il 24 maggio è l’anniversario dell’espressione “glass ceiling“, fu coniata nel 1978 durante una tavola rotonda sulle aspirazioni delle donne in un’intervista alla BBC con la consulente aziendale Marilyn Loden. Negli anni ’80 questa espressione è stata accostata anche al termine “mommy track“, con cui si indicava la tendenza di molte aziende dell’epoca di sottostimare l’impegno lavorativo delle donne, sia prima che dopo la maternità, spingendole verso la sola versione di mamma e precludendo loro la partecipazione ai più alti interessi dell’azienda.
Del resto, che ci siano forti condizionamenti di carattere sociale, culturale e psicologico dietro l’esistenza di questa barriera è evidente; se sul piano legislativo non esiste alcuna normativa – parliamo dei Paesi occidentali – che vieti alle donne di accedere alle posizioni lavorative più alte, nei fatti il modus operandi delle aziende tende ancora oggi a preferire gli uomini in certi ruoli occupazionali, come testimonia l’esiguo 3% di donne nei ruoli dirigenziali riportato dalle ultime analisi.
Le disuguaglianze crescono con l’aumentare delle responsabilità degli incarichi, come dire: “studia s’impegna è brava, ma nulla di fatto”.
Una donna ai vertici del potere è l’eccezione alla regola, una notizia da prima pagina, la spia di una arretratezza che colloca il nostro Paese molti passi indietro rispetto al resto d’Europa.
Bisogna essere ferme come larici per demolire i soffitti di cristallo, non femministe. Bisogna creare un nuovo linguaggio di genere e non nuove prigioni rivestite di gabbie invisibili che continuano a nutrire divisioni intrise di stereotipi di genere tra il maschile e il femminile. Bisogna ricorrere all’alchimia e trasmutare il piombo in oro.
Infatti non tutti sanno che ogni essere umano è composto da un 50% di energia maschile (yang) e un 50% di energia femminile (yin); quindi, ogni donna ha in sé un 50% di energia maschile, così come ogni uomo detiene un 50% di energia femminile. Femminile e maschile sono due grandi energie che muovono l’Universo, forze contrapposte che si ricercano e formano un equilibrio nel momento in cui si incontrano. Ognuno di noi al suo interno ha una parte maschile e una parte femminile, a prescindere dal sesso a cui apparteniamo.
Senza partire da troppo lontano, iniziamo da noi stessi e dalla conoscenza che può portarci a nuove aperture e a trasformare il vecchio sistema.